Il Perché si Dice

Perché si dice “ridere a crepapelle”?

Chi non ha mai provato la gioia contagiosa di un riso incontenibile, quel “ridere a crepapelle” che sembra non avere fine? Questa espressione così vivace e colorata fa parte del ricco repertorio della lingua italiana e ha una storia affascinante che merita di essere raccontata.

Perché si dice “ridere a crepapelle”
Immagine generata con IA

L’origine dell’espressione “ridere a crepapelle”

L’origine di “ridere a crepapelle” ci porta indietro nel tempo, precisamente alla fine del XIX secolo, e ci immerge nell’universo narrativo di Carlo Lorenzini, meglio conosciuto come Carlo Collodi. Questo grande scrittore, famoso soprattutto per il suo “Le avventure di Pinocchio”, ci regala l’episodio chiave da cui nasce questa espressione.

Nel romanzo, al capitolo 20, assistiamo a una scena esilarante: Pinocchio, il burattino protagonista della storia, è appena uscito di prigione e si trova di fronte a un serpente gigantesco. Nella confusione e nel tentativo di sfuggire, Pinocchio finisce a capo all’ingiù, con la testa nel fango. Questa vista così comica provoca nel serpente una reazione esagerata: inizia a ridere così tanto che, alla fine, si spezza una vena e muore.

Questa scena, così paradossale e irriverente, colpisce l’immaginario collettivo dell’epoca. Il termine “ridere a crepapelle”, letteralmente ridere fino a scoppiare, diventa così un’espressione popolare per descrivere un riso eccessivo e incontenibile. L’episodio di Pinocchio ha il merito di aver trasformato un momento di puro intrattenimento letterario in una locuzione entrata nel vocabolario quotidiano e ancora oggi ampiamente usata.

Quindi, ogni volta che ci troviamo a ridere a crepapelle, possiamo immaginare quel serpente di Collodi, protagonista involontario di una delle scene più memorabili della letteratura italiana, che ci ricorda come la gioia e l’ilarità siano elementi imprescindibili della vita.

Il significato attuale

Oggi, “ridere a crepapelle” è una locuzione diffusa e usata per descrivere una risata lunga, sonora, e talvolta incontrollabile, che coinvolge completamente chi ride.

Per esempio, immaginiamo una scena in cui un gruppo di amici si ritrova e uno di loro racconta un aneddoto talmente esilarante che tutti iniziano a ridere senza ritegno. In quel momento, possiamo dire che stanno ridendo a crepapelle. Oppure, pensiamo a una sala cinematografica durante una commedia particolarmente divertente, dove l’intero pubblico scoppia in una risata fragorosa e prolungata. Anche qui si tratta di ridere a crepapelle.

Il fascino di questa espressione sta anche nella sua capacità di evocare visivamente l’intensità del riso. “Crepapelle” suggerisce qualcosa che si spezza o si rompe per l’eccesso, e in questo caso, è la risata che diventa così forte da sembrare quasi oltrepassare i limiti fisici.

In sintesi, “ridere a crepapelle” non è solo un’eredità linguistica del passato, ma è un’espressione viva e vibrante che arricchisce le nostre conversazioni quotidiane. Ci ricorda che, nonostante i cambiamenti e le evoluzioni linguistiche, alcune espressioni mantengono il loro fascino e la loro potenza evocativa. Che si tratti di leggere le avventure di un burattino o di condividere un momento di gioia con gli amici, ridere a crepapelle è un modo per celebrare la leggerezza e l’allegria che tutti noi abbiamo bisogno di sperimentare nella vita.

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