Perché si dice “menare il can per l’aia”?
“Menare il can per l’aia” è un’espressione tipica del parlato italiano, usata per indicare l’azione di parlare o agire in modo evasivo, senza mai arrivare al dunque. La locuzione, intrisa di immagini e rimandi alla vita rurale, trae origine dalle pratiche agricole e dalla quotidianità della vita in campagna. Ma come è diventata un modo di dire così diffuso e cosa rappresenta nel linguaggio di oggi? Vediamolo insieme.
L’origine dell’espressione “menare il can per l’aia”
L’espressione “menare il can per l’aia” affonda le sue radici nella vita agricola e rurale, acquisendo un significato metaforico che riflette l’inutilità di azioni improduttive o la perdita di tempo. In senso letterale, l’espressione significa “condurre il cane all’interno dell’aia”, uno spazio aperto in una fattoria dove si trovano animali da cortile come le galline. Qui, portare un cane avrebbe causato confusione e scompiglio, distogliendo l’attenzione dalle normali attività quotidiane.
Estendendo il suo significato, l’espressione evoca l’antica pratica agricola della battitura del grano, svolta tradizionalmente sull’aia con l’ausilio di animali da lavoro come i buoi, per separare il grano dalla pula. Il ricorso a un cane, un animale di stazza minore e inadatto a questo scopo, sarebbe stato un esercizio inutile e infruttuoso.
Un’ulteriore interpretazione dell’espressione si concentra sull’inaffidabilità dell’aia come habitat per i cani da caccia, priva com’è di selvaggina. Qui, il rilasciare i cani da caccia in un’area dove non possono svolgere le loro funzioni naturali, è percepito come un’attività vana. In questo modo, “menare il can per l’aia” diventa metafora di inutilità e spreco di tempo.
Il significato attuale
Nell’uso corrente, “menare il can per l’aia” ha mantenuto il suo significato metaforico di evitare di affrontare direttamente una questione, perdendo tempo in chiacchiere o azioni superflue. L’espressione è comunemente utilizzata per descrivere persone che parlano in modo prolisso senza arrivare al punto essenziale o che deliberatamente distraggono l’attenzione da un argomento importante.
Per esempio, in una riunione di lavoro, un collega che parla a lungo senza fornire una conclusione chiara può essere accusato di “menare il can per l’aia”. Allo stesso modo, se qualcuno cerca di evitare una domanda scomoda cambiando continuamente argomento, si può dire che sta “menando il can per l’aia”.
Questa espressione può anche essere usata in contesti meno formali, come nelle conversazioni quotidiane, per indicare qualcuno che non è diretto o chiaro nelle proprie comunicazioni. In molti casi, l’espressione viene utilizzata con un tono leggermente critico o ironico, sottolineando la frustrazione per la mancanza di chiarezza o di concretezza.
In sintesi, “menare il can per l’aia” è un’espressione che, sebbene radicata in immagini e pratiche agricole del passato, è rimasta attuale nel linguaggio moderno. Essa riflette un aspetto universale della comunicazione umana: la tendenza a evitare, talvolta, di affrontare direttamente i problemi, ricorrendo a giri di parole o distrazioni.